Da Razol a S.Bernarden in “cana”

L’era prest quand ‘s-siòm partii in du in ‘na biciclèta:
mè e me seo da Razol, una matena pina ed sol.
Voltee zo dal Betolen
per la Bagna, i Bruzee, al Sculas fin al Bacsen
per river diretament, in stasion ‘d-S.Bernarden.
Al sbari ‘eren saredi: ved’r-al treno ed-nans-a i’occ,
al m’ha fat un’impresion,
ste montagna ‘d-fèr fumant quand al s’è fermee in stasion.
Un pastés, detsà e dedlà cun i freno ch’i sigheven
ment’r-al rodi i blisgheven.
Ster sduu insèma la cana al gambi e i pee i sfurmigheven
s’era dur c’mè un bacalà, dòp tra-l frèd e la paura
mè steva semper pèss, come fus in catalèss.
I paseger dal treno, cunt’r-i veder apanee,
cun al man i gèsticoleven,
o-i-puliven per guarder, o ch’i-s-vreven saluter.
Ho sentii un squéll ed tròmba e un sc-efel ondulee:
La motrice l’ha sopiee, tri o quater colp in fila,
da la fifa a sun caschee longh distes zo da la cana.
E’ cors lè al cap stasion,
c’l’era incòr adree arvoier la bandiera in dal baston,
per iuterum a mètt-m-in-pee.
I mee occ e i mee penser i’eren in còra concentree
su ste treno che-l s’nè andee,
vomitand un fumas nigher, sia a l’élta che in di fianch,
armesc-ee c’n-al vapor bianch ch’al formeva una chioma
a spirale, ed du color,
c’mè-l vress lascer un segn: ” d’fom vapor col soo odor”,
al sembreva stee un mirag al ricord dal soo pasagg.
Stè profom ‘d-carbon brusee
chi mai-l-preva immaginer !
mè, an l’eva mai sentii, forse gnan a luminer,
dòp che-l s’era dileguee
anca mè ‘m-sun argiulii, s’eren quasi arivee
in dal sit prèma dal Crest,
dop subét ed la Peloia, in d’la cà c-n’eva mei vest.

L’era l’undes ed november dal melaenovsentquaranta,
la destinasion,
al sit ciamee Stalon.

Da Reggiolo a S.Bernardino seduto sulla canna della bicicletta da uomo.

Era piuttosto presto, quando con lo zio Enzo partimmo tutti e due su una bicicletta dall’abitazione di Reggiolo, diretti a S.Bernardino, via Bettolino, poi Bagna, Bruciati, giù per lo Sculazzo, poi Barchessino, per infilare la strada della Riviera che porta direttamente alla stazione ferroviaria di S.Bernardino. Le barriere erano chiuse, per l’arrivo di un treno. Non avevo mai visto un treno. Trovarmi davanti agli occhi quella montagna di ferro annerito, mentre si fermava, fui colpito dello stridore dei freni, e dalle scintille che si sprigionavano dalle ruote bloccate. Ero seduto scomodamente sulla fredda canna della bicicletta per giunta anche senza mutande, indossavo solamente un gonnellino con le vergogne al vento e le gambe talmente indolenzite, addormentate, formicolanti. Dal freddo e dalla paura, mi ero irrigidito come se fossi in trans. I passeggeri del treno dall’interno, facevano dei movimenti rotatori con le mani che non capii se lo facessero per salutare, oppure per togliere quel velo di umidità che appannava i vetri e non permetteva di guardare fuori. Dopo uno squillo di trombetta, seguì un fischio acuto ondulato del treno, poi i tipici soffi del motore a vapore del locomotore sotto sforzo, con i pattinamenti rapidi in successione. Al che presi un tale spavento che caddi a terra lungo disteso come un salame. Venne immediatamente in soccorso a mio zio, il capo stazione, mentre arrotolava la bandierina per i segnali sulla propria asta, per rimettermi in piedi; ero barcollante come un ubriaco, mi vergognai tanto, poi pensai: tutta colpa della paura e del freddo mattutino. Il mio pensiero e i miei occhi erano talmente assorti e attratti nell’accompagnare il treno che si allontanava, lasciando dietro di se una scia bianca di vapore mescolata ad un fumo nero della ciminiera, creando un effetto scia meraviglioso; come una chioma multicolore a spirale; come se spandesse di proposito, sto magico miraggio, mescolato al profumo di carbone in combustione, mai visto e mai sentito prima d’allora. Rinsavii quando il tutto si dissolse: eravamo quasi arrivati a destinazione tra il podere “Pelloia” e la casa del “Cristo”, nel podere “Stallone”, non distante dalla chiesa di S.Bernardino.
Era l’undici Novembre 1940.

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